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Buona giornata, bravi lettori e bentornati! Lo scorso mese è stato un vero turbine di viaggi, aeroporti, presentazioni, lezioni, musei, alberghi, nuovi amici…… e un riconoscimento. Si! Un riconoscimento! Per coloro che la scorsa settimana non hanno visto su Facebook e Instagram la mia ultima serie di post con una quantità spropositata di punti esclamativi: nel corso della cerimonia di premiazione a Cincinnati, Ohio, mi è stato conferito il Best Special Interest Food Blog Award (Editor’s Choice) di Saveur Magazine il 14 Novembre. Oh, che notte!!! E’ veramente una sensazione meravigliosa vedere anni di ricerca, scrittura, fotografia e sviluppo culminare con la miglior pacca sulla spalla che si potrebbe chiedere: un premio e un riconoscimento da Saveur Magazine. Ciò ha fatto sì che le nottate a scrivere alla luce della lampada ad olio e i dolori alla schiena per il duro lavoro valessero davvero ogni minuto! Adesso sono piena fino all’orlo di gratitudine e non potrei essere più felice di continuare a sviluppare ancora più contenuto e progetti che gettino luce sui pasti e sulla preparazione del cibo dei Romani, così come sull’archeologia della cucina Romana. Ma prima, VI devo un enorme grazie. Si, a TE, bravo lettore! Ti sto guardando in questo momento… (e posso vedere cosa indossi… e sei fantastico!). Ma seriamente, grazie per essere qui a leggere, commentare e cucinare insieme a me da tutti questi anni. Vi amo ragazzi, Siete sempre stati gentili nei miei riguardi e ciò è quello che rende piacevole produrre questi contenuti. GRAZIE.
Così, con questo bel presupposto, la ricetta di oggi e solo per VOI, RAGAZZI, i miei lettori, per ringraziarvi di tutto il vostro supporto. Sebbene sia una cosa pazzesca, sono stata concentrata su questa ricetta per più di un mese aspettando il momento giusto per passarvela… e quel momento è finalmente arrivato, perché questa ricetta è veramente speciale. E’ qualcosa da rimanere senza senza parole ed è impregnata in una storia incredibile che getta le radici nell’antico distretto del mercato del cibo di Roma conosciuto come il Velabrum. Potrebbe essere realizzabile per alcuni, mentre per altri no, ed è abbastanza intricato ma ciò non mi fermerà dal raccontarvi tutto a riguardo. Quindi munitevi del vostro secchio da mungitura e dei vostri trucioli di melo (oppure di una semplice tazza di tè e qualcosa da leggere…) perché andremo a preparare dall’inizio alla fine la Caciotta Affumicata del Velabro. Ma prima (come di consueto…) un po’ di storia:
Il formaggio, come il pane, è una delle basi e un cibo di conforto nella dieta umana sin da tempi immemori. Varietà a pasta molle e a pasta dura, così come quelle delicate o dalle note pungenti, fanno di questo prodotto alimentare un versatile e piacevole pasto aggiuntivo e ricco, che sta benissimo anche mangiato da solo accompagnandolo con frutta, olive, pane, gelatine, erbe o salse. La produzione del formaggio cominciò molto prima della storia documentata con alcune teorie che suggeriscono che abbia avuto origine nel Medio Oriente, e altre che suggeriscono che incominciò nell’Europa Orientale durante la Rivoluzione Neolitica con il diffondersi dell’agricoltura, cosa che ha fatto sì che fosse portato ad occidente attraverso il Mediterraneo. E’ stato durante il primo periodo Neolitico che gli umani cominciarono a passare dalla vita da cacciatori/raccoglitori ad uno stile di vita dove praticavano la coltivazione, l’addomesticamento di animali e l’allevamento di bestiame. Con questo sviluppo scoprirono che gli animali addomesticati potevano anche essere munti e non usati esclusivamente come animali di tiro, o come risorse di lana o carne.
La caseificazione è stato documentata da diverse civiltà antiche molto prima che i Romani scoprissero come realizzare da soli il prodotto caseario. In Egitto, attorno al 2000 a.C., i murali funerari riportavano il processo di preparazione del formaggio. La prova archeologica di ciò è stata trovata in Polonia e risale al 5.500 a.C.. In aggiunta a questo, anche le pitture rupestri scoperte in Libia mostravano la produzione di formaggi e queste pitture risalgono al 5000 – 6000 a.C.. Nella penisola Italiana, l’archeologia della caseificazione è evidente nelle grattugie da formaggi in bronzo di origine Etrusca datate V sec. a.C., forate per tritare i formaggi stagionati a pasta dura. Menzioni a vari formaggi e al processo di realizzazione del formaggio emergono nei documenti scritti di origine Greco-Romana dall’ 800 a.C. in avanti nei testi di Esiodo (Le Opere e i Giorni), Omero (L’Odissea e l’Iliade) e Varrone (Sull’Agricoltura). Dal 1950 d.C., il processo di caseificazione dei Romani fu reso noto molto dettagliatamente da Columella nel suo testo De Re Rustica (Sull’Agricoltura – 65 d.C.).
La preparazione dei formaggi nell’antica Roma era una pratica regolare ed erano così realizzate diverse varietà di formaggio, da quelli freschi, simili a quelli che conosciamo come la ricotta o i fiocchi di latte, alle prime forme stagionate e salate. Columella ci parla del processo di caseificazione nel De Re Rustica (Libro VII, Capitolo VIII) e ci spiega che:
“Sarà necessario non trascurare la funzione della produzione di formaggio, specialmente nelle zone del territorio distanti, dove non è conveniente trasportare il latte in secchi fino al mercato. Inoltre, se il formaggio ha una consistenza sottile, deve essere venduto il più velocemente possibile, quando è ancora fresco e trattiene la sua umidità; se, tuttavia, ha una consistenza ricca e spessa, questo si presta per essere mantenuto per un periodo più lungo. Il formaggio dovrebbe essere fatto con latte puro il più fresco possibile, perché se è lasciato riposare o è diluito con acqua, diventa velocemente acido. Di norma esso dovrebbe essere usualmente fatto cagliare col caglio ottenuto da un agnello o da un capretto, inoltre può essere cagliato col fiore del cardo selvatico o coi semi di cartamo, e, allo stesso modo, col liquido che sgorga da un albero di fico se si realizza un incisione nella corteccia mentre questa è ancora verde…… Quando il prodotto si è addensato, dovrebbe essere immediatamente spostato in vasi di vimini, cestini o stampi; perché è della massima importanza che il siero del latte venga filtrato il più velocemente possibile e venga separato dalla materia solida. Per questa ragione la gente di campagna non permette al siero di colare via da solo lentamente, ma, come il formaggio diventa un composto più solido, posizionano dei pesi su di esso, in modo che venga premuto”.
– Columella, De Re Rustica, Libro VII
A Pompei, è possibile trovare un affresco sul muro sul retro di un triclinium nella Casa dei Vettii dove sono raffigurate cagliate fresche messe a colare in ceste di vimini. Presse per il formaggio fatte di ceramica sono state rinvenute in diversi contesti in tutto il mondo Greco-Romano, esse non solo servivano per far colare il siero ma fungevano anche da stampo, applicando allo stesso tempo pressione sul formaggio. Per questa ricetta, ho usato una replica esatta di una pressa/stampo Romana che è stata creata per me da un colto e talentuoso vasaio di Rothbury, Inghilterra: Graham Taylor di Potted History. Senza questa tecnologia di preparazione per il cibo Romano, questo esperimento non avrebbe prodotto gli stessi risultati.
In aggiunta agli affreschi di cibo e presse per il formaggio in contesti Romani, possiamo anche trovare molti riferimenti ai pasti Romani che si riferiscono al formaggio, e ai formaggi affumicati in particolare, specialmente negli scritti di Columella, Marziale e Ateneo:
“Il cosiddetto pane boletinus è modellato nella forma di un fungo boletus. La madia viene oleata, i semi di papavero cosparsi sul suo fondo, e l’impasto è posto al suo interno in modo da non attaccarsi al contenitore mentre lievita. Posto in forno, del grano macinato grossolanamente è cosparso sul fondo del contenitore, e il pane vi è messo all’interno affinché acquisisca un bel colore, come quello di un formaggio affumicato.”
– Ateneo. I Dotti a Banchetto. Libro III (III sec. d.C.)
“Non mancheranno altre uova, cotte in braci calde, e una forma di formaggio cagliato da un focolare del Velabro, e olive che hanno sentito l’inverno di Picenum.”
Marziale, Epigrammi, Libro XI (I sec. d.C.)
“Il formaggio che ha assorbito non solo tutto il calore del focolare e tutto il suo fumo, ma il Velabro stesso, quel formaggio ha sapore.”
Marziale, Epigrammi, Libro XIII (I sec. d.C.)
Nei passaggi riportati sopra, abbiamo imparato che i Romani avevano molta familiarità con l’affumicatura dei cibi e ne avevano particolarmente con l’affumicatura dei formaggi. Così tanto da essere citati da Marziale per ben due volte! In entrambi i passaggi dagli Epigrammi di Marziale, egli cita una varietà di formaggio detto “del Velabro” ed enfatizza il fatto che il formaggio affumicato, o il formaggio cagliato da un focolare del Velabro, sia qualcosa da bramare. A questo punto, che cavolo è un formaggio “del Velabro”, mi chiederete? Andiamo ad esplorare un po’ questa cosa prima di andare avanti.
Se siete mai stati a Roma ed avete fatto una passeggiata per il lungotevere sul fiume Tevere nei pressi del Testaccio… e siete arrivati fino ad una lunga coda di turisti in fila fuori Santa Maria in Cosmedin aspettando per mettere le vostre mani in quel foro di scolo che è la Bocca della Verità, siete stati in una delle più importanti aree dell’antica Roma che ha a che fare col cibo: I distretti del Forum Boarium e nelle vicinanze del Velabrum. Al giorno d’oggi, può sembrare solo un altro affollato quartiere Romano pieno di edifici, automobili ed abitazioni… ma se osservate i resti archeologici che si nascondono nei punti dove non sorgono edifici in quest’area di Roma, tutto comincerà ad avere un senso. Vi trovate nel cuore autentico di Roma: il vero nucleus della Città Eterna.
Il Forum Boarium, e il Velabro, fiancheggiano il fiume Tevere dove si trovava il suo porto più antico, il Portus Tiberinus. Il porto sorse nel VI sec a.C. quando Roma era appena una città nascente, fondato in un punto di attraversamento comune del fiume Tevere. Il Portus Tiberinus era il luogo dove vettovaglie, e altre risorse e necessità, erano scaricate dalle chiatte fluviali e ridistribuite per il successivo trasporto verso entroterra, a commercianti locali, magazzini statali, o venditori privati.
Il Forum Boarium, che è situato tra il fiume Tevere e il Velabrum, era un vivace mercato del bestiame. Secondo la documentazione e i rinvenimenti archeologici, il luogo sorgeva sugli argini del fiume Tevere tra il Colle Palatino, il Colle Aventino e il Circus Maximum. Il Forum Boarium nacque come un luogo di pubblico ritrovo e lì si conduceva commercio di prodotti agricoli e bestiame. Col passare del tempo, il sito divenne anche un luogo sacro che ospitava templi e altari. La prova del contatto con la Grecia pre-Imperiale e i Fenici è ben visibile nel sito attraverso la presenza del Tempio di Hercules (II sec. a.C.) e il Tempio di Portunus (VI sec. a.C.). La famosa Via Salaria (Via del Sale) attraversava anche il Forum Boarium che veniva usato come un entrepot per il sale che veniva trasportato per via fluviale dalle saline fino alla foce del fiume Tevere, e da lì fino alla città e agli insediamenti montani del nord. Gli scavi al Forum Boarium nel tardo XIX sec e agli inizi del XX sec. d.C. rivelarono un sistema di mura sotto l’attuale manto stradale, incluso un edificio che si riteneva essere stato un lupanar, o un bordello, il che è supportato da cenni storici sull’area che era adibita a distretto commerciale.
Il Velabrum, subito a nord dopo il Forum Boarium, un tempo non era altro che una vallata tra i colli Capitolino e Palatino. A nord del Velabrum vi era il Forum Romanum. Laddove Plutarco ci informa che il Velabrum era un tempo una palude attraversata da imbarcazioni, e Seutonio che importanti cortei e processioni spesso attraversavano la zona del Velabrum,è Plauto che ci dà una breve e colorita immagine di come funzionava la vita quotidiana nel distretto mercatale del Velabrum:
“Al Velabrum possiamo incontrare il fornaio, il macellaio o l’indovino oppure coloro che fanno un giro o si offrono di accompagnarti.”
Plauto, Curculio, II sec. a.C.
“Me ne sono andato dopo essermi reso conto di essere stato truffato. Mi sono avvicinato ad altri, poi ad altri e altri ancora: sempre la stessa storia! Tutti stavano attuando cospirazioni, come i venditori di olio del Velabro”.
Plauto, I Prigionieri, II sec. a.C.
Da ciò che leggiamo sopra, sembra che il Velabrum era un’area mercato vivace e pieno di truffatori, trattative e venditori di cibo e anche, probabilmente, un luogo di ritrovo pubblico simile al Forum Boarium. Se le processioni passavano dal Velabrum in direzione del Forum o del Circus Maximus, questo doveva essere un luogo davvero movimentato e pieno di gente… Persone che comprano olio, grano macinato (farina), pane, carne e formaggio e, dobbiamo credere che potessimo trovarci anche Plauto e Marziale!
Quindi con questo breve pezzetto di storia di due dei primi mercati del cibo dell’antica Roma, rimbocchiamoci le maniche e prepariamo un pezzo di caciotta cagliata da un focolare del Velabro (o della California per ora…)! Prima di iniziare, mi rendo conto che non tutti disporranno di tutto l’occorrente per ricreare l’intera ricetta come ho fatto io. Perciò, se non avete a disposizione un affumicatore o un forno a legna, potete preparare questa ricetta dall’inizio e poi fermarvi dopo la fase di bollitura. Il prodotto così realizzato sarà comunque delizioso! Se avete un affumicatore o un forno a legna, pianificate la vostra preparazione in modo predisporre l’accensione della legna e della brace raggiungendo una temperatura dell’affumicatore/forno che è sotto i 32° gradi prima di affumicare la caciotta.
Facciamo il formaggio come i Romani!
Preparando il Formaggio coi Romani: Caseus Fumosus Velabrensis (Caciotta Affumicata)
Ingredienti:
- 4 litri di latte crudo di capra o di mucca
- 35 grammi di sale
- Caglio, o linfa di fico, o aceto bianco, o due limoni
Attrezzi:
- Tessuto per formaggi
- Pinza termica
- Pressa per il formaggio in ceramica (opzionale)
- Disco di legno non trattato di 12,5 centimetri (5 pollici)
- Pressa a vite (opzionale)
- Affumicatore (opzionale)
- Griglia da affumicatoio (opzionale)
- Trucioli di melo (opzionale)
*Nota Bene: State attenti al latte che comprate per questa ricetta. NON acquistate latte ultra-pastorizzato o scremato perché con questi tipi di latte, non importa quanto piangerete e vi dispererete, non otterrete mai una cagliata. Quindi, risparmiate soldi e sanità mentale: utilizzare latte crudo o intero che non è ultra-pastorizzato.
Preparazione del fuoco:
- Se procederete con l’affumicare la vostra caciotta, allestite il fuoco in anticipo. Saranno necessarie alcune ore per raggiungere una temperatura bassa nel forno a legna o nell’affumicatore.
- Io ho usato il mio forno a legna. Non è necessario munirsi di affumicatore se avete a disposizione un forno a legna.
Separare la cagliata dal siero:
- Iniziate versando i 4 litri di latte in un pentolone. Scaldate il latte fino al punto di ebollizione mescolandolo durante il procedimento. Assicuratevi di evitare che il latte sul fondo del pentolone si bruci girando e mescolando mentre si scalda. Una volta raggiunto il punto di ebollizione, il latte diverrà bollente e creerà una cupola schiumosa. A questo punto spegnete immediatamente il fornello e toglietelo dal fuoco.
- Aggiungete al latte schiumato il vostro caglio, o l’aceto, o la linfa di fico, o il succo di limone. Normalmente, ciò può essere fatto aggiungendone un cucchiaino di tè alla volta finché non inizierete a notare una separazione nel latte. Guardate questa ricetta per avere maggiori informazioni sui vari modi dei Romani di separare le cagliate dal siero nella preparazione dei formaggi. Quando il latte caglia, assumerà una tonalità giallastra e la cagliata comincerà a formarsi sotto la sua superficie. Se il vostro latte è ostinato e non vuole cagliare, provate ad aggiungere ancora un po’ del vostro separatore (caglio, linfa, limone,aceto), o portate il latte ad ebollizione ancora una volta. Usualmente questo procedimento favorisce la separazione. Aggiungete altro caglio, linfa, limone, aceto dopo la seconda bollitura, se necessario.
- Una volta che il latte inizia a cagliare, lasciatelo riposare e separare completamente per 30 minuti.
- Questa procedura porterà ad ottenere circa 1.3 chilogrammi di cagliata.
Pressare la cagliata:
- Per filtrare e pressare la cagliata ho usato la mia pressa/stampo Romano. Sentitevi liberi di usare un panno per formaggi, un colino, e un peso da porre sulla massa se non disponete di una pressa.
- Inizialmente, per farla scolare ho sistemato la cagliata in cestini di vimini per alcune ore. Successivamente l’ho spostata nella mia riproduzione di pressa/stampo per formaggi Romano per comprimerla e far colare via ancora più siero dal formaggio. Poi ho usato la mia pressa a vite e alcuni dischi di legno personalizzati che ho dovuto tagliare perché combaciassero col bordo del mio stampo di ceramica per formaggi.
- Mentre non esistono prove definitive che le presse a vite fosse usate nella preparazione dei formaggi, è certo che questi strumenti venissero usati dai Romani per la spremitura di olive e uva. Per me resta un mistero come i Romani utilizzassero sia i cestini di vimini che recipienti resistenti di terracotta per mettervi semplicemente la cagliata a colare. Credo che lo stampo di terracotta fosse molto di più di un colino voluminoso, perciò ho usato il mio come se fosse stato pensato per essere usato con una pressa a vite. E’ sicuramente resistente abbastanza da sopportare bene la pressione.
- Mettete la cagliata in uno stampo da formaggio o in un colino e premetela facendo pressione o apponendo un peso. Lasciate la cagliata a comprimere dalle 4 alle 8 ore. Io ho sistemato il mio stampo con la cagliata sotto la base della mia pressa a vite stringendo la pressa ogni 30 minuti per 8 ore. E’ stata espulsa una quantità significante di siero e la cagliata compressa ottenuta era abbastanza soda e compatta dopo 8 ore di questo procedimento.
La salatura del formaggio:
- Dopo 6 o 8 ore, nel vostro colino o nella vostra pressa dovrebbe esservi una massa abbastanza solida di caglio. La mia pressa conteneva una cagliata compatta dalla consistenza simile al feta. Volevo trovare un modo per rendere più compatta la massa nel processo di salatura così ho deciso di bollire e fare una salamoia facendo un bagno salato al formaggio.
- Per questo passaggio, ho deciso di prendermi una piccola libertà e simulare l’acqua di mare per fare una muria (salamoia) per lavare e salare la cagliata. Il sale era un bene primario per i Romani e non era sempre facilmente reperibile. Apicio utilizzava l’acqua di mare per cucinare il cinghiale. L’acqua di mare era spesso usata dai produttori di formaggio, storicamente, per salare le cagliate così ho deciso di provare a replicare ciò per questo processo di salatura. Ciò fa anche sì che il formaggio fresco si rassodi senza doverlo lasciare a riposare e stagionare per un lungo periodo di tempo. In media, l’acqua di mare ha una salinità di circa il 3.5% o di 35 parti per mille. Quindi, per in ogni litro di acqua marina abbiamo 35 grammi di sale. Ho usato questa proporzione quando ho preparato il mio bagno al cale per la cagliata.
- Riempite una piccola pentola con un litro di acqua e aggiungete 35 grammi di sale. Avvolgete la cagliata in un tessuto da formaggi e torcetelo fermandolo con una pinza sulla parte superiore del tessuto in modo che la cagliata stia ben stretta. Mettete la cagliata avvolta nel tessuto fermato con la pinza in acqua salata bollente lasciandolo a sobbollire per un’ora.
- Togliete la cagliata dall’acqua e lasciatela riposare finché non si raffredda in modo da poter essere maneggiata. Quando al tocco vi sembra si sia raffreddata, rimuovete il tessuto per formaggi. A questo punto potete dare nuovamente una forma al vostro formaggio, o potete servirlo fresco. Adesso, il formaggio sarà sodo, salato e pronto da mangiare! Ma non è ancora propriamente una caciotta del Velabro… così andiamo a vedere il passaggio finale.
L’affumicatura del formaggio:
- Ora è tempo di trasformare questo formaggio in qualcosa che sarebbe potuto essere venduto dai pizzicagnoli del Velabrum e mangiato dagli uomini come Marziale!
- Controllate la temperatura del vostro forno a legna o affumicatore. Dovrebbe essere sotto i 32 gradi. Questo permetterà al formaggio di affumicarsi per bene e allo stesso tempo di non sciogliersi.
- Come affumicatore io ho utilizzato il mio forno a legna. Ho acceso il un bel fuoco di mattina e la temperatura si era abbassata a tarda sera, il che è stato perfetto, perché intendevo lasciare la caciotta in forno ad affumicare dalle 8 alle 10 ore.
- Una volta che la temperatura del forno era sotto i 32 gradi, ho aggiunto alcuni trucioli di melo alla brace residua spazzandoli via e spingendoli sul fondo del forno.
- Ho posizionato la mia caciotta, che era di forma circolare e l’ho posta su una griglia di ferro, al lato opposto e il più lontano possibile dalle braci.
- Ho chiuso la porta del forno per limitare l’ossigeno nella camera del forno e mantenere all’interno il fumo.
- Poi sono andata a letto ed ho lasciato Fornax a fare il suo lavoro con la mia caciotta del Velabro fatta in casa!
Il mattino seguente, con caffè alla mano, ho aperto la porta del mio forno a legna. Lì, aspettandomi tranquillamente sulla griglia circondata dalla cenere, c’era un blocco tondo di caciotta intatto e affumicato splendidamente. Mentre le guardavo, mi ricordai delle parole usate da Ateneo per descrivere il colore del pane Boletino: “Posto in forno, del grano macinato grossolanamente è cosparso sul fondo del contenitore, e il pane vi è messo all’interno affinché acquisisca un bel colore, come quello di un formaggio affumicato.” Era questo il bel colore a cui Ateneo si stava riferendo?
Il passo successivo è stato tagliare il formaggio ed esaminarne la densità. Anche questo passaggio ha avuto un risultato soddisfacente! I processi di pressatura, bollitura e affumicatura durante la preparazione del formaggio, hanno trasformato una pozzanghera di caglio noiosa in un robusto pezzo di caciotta dalla crosta abbastanza resistente. L’interno era solido, saldo e con un coltello ben affilato si tagliava una bellezza. Non vi era traccia di friabilità o appiccicume.
Alla fine, la prova del gusto è stata ciò che mi ha steso. La crosta era solida, affumicata e gommosa… praticamente prefetta. La consistenza del cuore interno era solida ma cremosa non appena messa in bocca. L’affumicatura ed il sale erano proprio al punto giusto in modo da bilanciare il tutto perfettamente… e l’affumicatura non era per niente sovrastante: c’erano sentori di essa nel sapore ma non era dominante.
Per me, questa ricetta è quasi una chiave per capire le preferenze dei gusti dei Romani. Ai Romani piaceva il sapore di affumicato. Anche a me. E’ forte e audace e si abbina benissimo con i cibi dolci e che sanno di noci. Prendendo in considerazione altri prodotti della dieta che i Romani mangiavano regolarmente, possiamo provare ad inserire la caciotta del Velabro tra questi per vedere come si integri con gli altri cibi giornalieri Romani, e devo dire che credo che questo sia molto sofisticato e rappresenti l’aggiunta adatta alla dieta quotidiana dei Romani. Tutto ciò, specialmente, tenendo conto degli altri sapori che attraversano regolarmente le papille gustative come: olive; olio d’oliva; fichi; uva; vino rosso; melagrane; prugne; datteri; mele; pane casareccio; pane con grano intero; garum; miele; carrube… e la lista va avanti! Molti di questi elementi della dieta quotidiana sulla tavola dei Romani si abbinano benissimo col formaggio, ma col formaggio affumicato tutto diventa un vero spettacolo! Ci troviamo certamente davanti combinazioni di sapori che sono piuttosto tonde, ardite e sofisticate. Non vedo l’ora di preparare ancora questa ricetta così potrò assaggiare e degustare la caciotta affumicata del Velabro e testare il suo sapore quando è consumata abbinandola con altri cibi Romani. Fino ad allora, andrò avanti tenendo bene a mente queste parole di Maziale: “Il formaggio che non solo ha assorbito tutto il calore del focolare e tutto il suo fumo, ma il Velabro stesso, quel formaggio ha gusto.”… e per Giove, se lo ha!
Unitevi alla discussione sulla nostra pagina Facebook o lasciate vostro un commento su questa ricetta sotto questa pagina. Se vi piacerebbe chiacchierare in persona con me o anche discutere di qualunque altra ricetta, potete raggiungermi ad uno degli eventi live di The Old-School Kitchen realizzati in un museo o in una sede nelle vostre vicinanze. Adesso potete trovare ulteriori informazioni riguardo agli eventi di quest’anno sulla pagina del Calendario Eventi.
Interessantissimo. Letto da cima a fondo. Complimenti per la pazienza, ma n’è valsa la pena!
Grazie Vincenzo!! – Farrell