A Pompeii è stato scoperto un nuovo affresco raffigurante una focaccia italiana. L’archeologa culinaria Farrell Monaco propone una ricetta per prepararla e spiega perché non è una pizza.
Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta in inglese sulla BBC il 30 giugno 2023. Questa versione contiene ulteriori elaborazioni rispetto alla versione inglese.
Il 27 Giugno 2023, il Parco Archeologico di Pompei ha annunciato la scoperta di un nuovo affresco raffigurante una focaccia. Negli ultimi anni, il sito ha cominciato lavori di scavo nelle aree precedentemente inesplorate dell’antica e vivace città che fu sepolta durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
Nell’annuncio della scoperta, il direttore Gabriel Zuchtriegel descriveva un affresco di natura morta magnificamente ben conservato e raffigurante una coppa di vino accanto ad una focaccia sopra ad un vassoio d’argento assieme a vari frutti e quello che sembra moretum, una pietanza romana a base di formaggio ed erbe.
Mentre i media cavalcavano l’onda con la notizia della nuova scoperta, tra le tendenze nelle ricerche di Google cominciava a svettare la frase: “antica pizza romana”. Ma ci sono abbastanza prove per confermare che la focaccia dipinta nell’affresco Pompeiano sia un’antica forma dell’amata pietanza napoletana? La risposta breve è “no”, sebbene sia comprensibile il perché inizialmente molti hanno pensato, dopo aver dato un rapido sguardo all’affresco (vedi l’immagine sotto), che queste focacce fossero simili alla pizza.
Affresco di una focaccia recentemente scoperto a Pompei (Foto: Abaca Press/Alamy).
Nella versione in Italiano del comunicato, Zuchtriegel fa riferimento ad un passo dell’Eneide di Virgilio, che espone in maniera dettagliata la pratica del collocare frutta o altri cibi sopra delle forme di pane (a volte menzionate come “torte” nella letteratura greca o romana) che fungono come “tavole” (mensae/mensas, in Latino):
“Aeneas primique duces et pulcher Iulus corpora sub ramis deponunt arboris altae, instituuntque dapes et adorea liba per herbam subiciunt epulis (sic Iuppiter ipse monebat) et Cereale solum pomis agrestibus augent. consumptis hic forte aliis, ut vertere morsus exiguam in Cererem penuria adegit edendi, et violare manu malisque audacibus orbem fatalis crusti patulis nec parcere quadris: “heus, etiam mensas consumimus?””.
(Latino) Virgilio, Eneide (1916; Loeb Classical Library).
“Enea e i primi duci e il bello Iulo posan le membra all’ombra di un albero alto, e allestiscono il cibo, e sopra focacce di grano sull’erba posan le loro vivande (così li ispirò Giove stesso), e le tavole cereali colman di frutti campestri. Ma allora, mangiato già il resto, quando la penuria di cibo li costrinse a volgere i morsi nelle focacce sottili, e a spezzar con le mani e con l’audaci mascelle l’orlo del pane fatale, divorando quegli ampi suoi quadri ‘, «Ohi! — disse Iulo — mangiamo anche le mense?».”
(Italiano) Virgilio, Eneide (1928; Testi Filosofia Scienza Italiani; European Libraries).
In qualità di archeologa classicista che ricerca e ricostruisce pane e dolci dell’antica Roma, mi sono resa conto immediatamente che l’immagine dipinta nell’affresco portato alla luce fosse una scoperta molto importante. Innanzitutto, è la prima rappresentazione pittorica di cibo posto in cima ad una focaccia circolare in un contesto romano, che avvalora riferimenti letterari, come quelli nell’Eneide, sul compiere questo tipo di pratiche nella cucina dell’antica Roma.
L’affresco inoltre aiuta ad identificare una focaccia raffigurata in un altro affresco di Pompei precedentemente noto, la “distribuzione del pane” dal tablinum della Casa del Panettiere, e, le due immagini di pane insieme, forniscono informazioni cruciali su come questo tipo di pane fosse modellato a mano, e sul perché avesse questa forma.
Affresco dal tablinum della Casa del Panettiere (a sinistra e in alto a destra) e l’affresco recentemente scoperto (in basso a destra). (Foto: Farrell Monaco e Abaca Press/Alamy).
Nel dipinto affrescato dalla Casa del Panettiere, piccole focacce circolari riposano sula mensola sopra al chiosco, e vi è un anello impresso sulla superficie del pane in modo da creare una sorta di abbeveratoio col bordo leggermente rialzato. Questa forma era molto probabilmente usata per impedire agli alimenti umidi di scivolare via dalla superficie del pane ed essere consumati più facilmente. Questa sorta di abbeveratoio può essere presente sotto al cibo, all’interno del bordo della focaccia dipinta nel nuovo affresco, suggerendo che le due forme di pane sono probabilmente dello stesso tipo.
Questa insolita focaccia è inoltre rappresentata in un altro contesto archeologico vicino Pompei: Paestum, un’antica città greca che era parte di quelle che un tempo erano le colonie greche a cui ci si riferiva col nome di Magna Graecia. Al museo di questo sito archeologico, versioni fatte di terracotta di questa tipologia di pane sono posizionate accanto a vari alimenti che venivano consumati nell’area durante il sesto e il quinto secolo a.C.
Con tre rappresentazioni archeologiche di questo pane schiacciato, una con della frutta posta in cima, adesso è più facile decifrare ciò che poteva essere noto sia ai Greci che ai Romani del primo secolo.
Il grammatico del II secolo, Ateneo di Naucrati, scrisse di una “torta” (o pasticcino) greca lievitata chiamata nastos, un dolce tondo e schiacciato categorizzato come placoûs o placentae, antichi termini greci usati per descrivere dolci fatti con farina, formaggio, olio e miele. Secondo Ateneo, queste torte o gallette erano adoperate come offerte sacrificali e scriveva che queste erano decorate con una coulis (purea di frutta o verdura) chiamata caryca. Coloro che parlano italiano noteranno immediatamente la somiglianza di questa parola col verbo caricare: riempire, che è esattamente ciò per cui era stato ideato il nastos: essere colmato di crema.
Due schiacciate di terracotta circondate da uva, carruba, ricotta e melagrana di terracotta. (Foto: Farrell Monaco).
Per gli antichi romani, il pasticcino ricoperto di coulis era conosciuto con un nome diverso, ed era classificato con un tipo di Libum (plurale, Liba), l’equivalente romano del placoûs greco. Il nome della versione romana del nastos può essere letto nello stesso passaggio della precedentemente menzionata Eneide di Virgilio nel suo testo originale in Latino: instituuntque dapes et adorea liba per herbam (posizionarono le torte sull’erba ). Enea e i suoi uomini poi guarnirono le torte di grano con frutta selvatica. Per i romani, quindi, la base della torta, nastos, sarebbe probabilmente simile a quella che vediamo raffigurata come Libum nell’affresco recentemente ritrovato a Pompeii, nell’affresco della distribuzione del pane nella Casa del Panettiere, e nelle schiacciate in terracotta. Preparato con il farro (Latino: ador/adoreum) nell’Eneide, questo pasticcino era conosciuto come libum adoreum (plurale, liba adorea o adorea liba) o più semplicemente come adorea, secondo Papia, il lessicografo (sec. XI).
Nel I secolo d.C., il filosofo e autore romano Plinio il Vecchio riporta nella sua Historia Naturalis, in relazione all’uso del farro, che i romani un tempo facevano offerte con gli ‘adoria’, una parola che il senatore romani, Catone il vecchio, definisce come sinonimo di gloria.Secondo il soldato e senatore romano, Catone il Vecchio, il vocabolo era sinonimo di ‘gloria’. Tra la fine del IV e l’inizio del V secolo il grammatico, Servio, ci racconta che le torte adorea (cioè le focacce) erano fatte con farina di farro, miele ed olio ed erano indicate per essere usate come offerte.
Con queste informazioni, è lecito affermare che la focaccia con frutta dipinta nel nuovo affresco pompeiano, e che le focacce ad anello raffigurate nell’affresco dalla Casa del Panettiere – assieme con le rappresentazioni di terracotta di Paestum – sono degli adorea, non delle pizze. Dopotutto, la focaccia nel nuovo affresco è sia condita che circondata da frutta; non da carne, funghi o verdure.
Per quanto riguarda la base della torta, come descritta nell’Eneide di Vergilio, resta la diatriba incentrata sulla traduzione del termine ‘quadris‘. Molti traduttori moderni assumono che questo sia correlato al tipo di pane: panis quadratus. Ciò segue il presupposto che ‘quadris‘ significhi ‘quarti‘, indicando che il pane in questione sia il classico tipo di panis quadratus delimitato da righe. Un’altra traduzione di ‘quadris‘, comunque, è ‘tavole’ e sembra essere la traduzione più comune prima della scoperta degli 81 pani di tipo ‘panis quadratus‘, rinvenuti a Pompei nel 1862. Ciononostante, invece di discutere delle traduzioni, non dobbiamo far altro che osservare la focaccia dipinta nel nuovo affresco per vedere attraverso gli occhi dei Pompeiani del primo secolo e comprendere la loro interpretazione di cosa fosse questo pane Virgiliano. Piccola e delicata, la focaccia non è un tipo di panis quadratus a segmenti: noi non vediamo impresse le linee verticali o orizzontali sui bordi del dolce. Inoltre, la forma del panis quadratus non è fatta per sostenere frutta, formaggio o altri cibi sulla sua cima; la sua forma era generalmente più voluminosa e alta rispetto alla piccola torta piatta raffigurata nell’affresco. Perciò, dovremmo utilizzare l’affresco Pompeiano per dare contesto alle traduzioni dell’Eneide che suggeriscono che il libum adoreum prende la forma segmentata del panis quadratus.
Affresco di una focaccia recentemente scoperto a Pompei (Foto: Abaca Press/Alamy).
A seguito dell’annuncio riguardante l’affresco, in molti hanno provato a capire cosa fossero alcuni dei cibi e degli oggetti rappresentati nel dipinto. Ecco le mie interpretazioni, che si riflettono nella ricetta riportata di seguito:
Sulla focaccia: crema di formaggio o frutta; una foglia di alloro (con sotto probabilmente una piccola fetta di formaggio piccola); una piccola albicocca, pesca o mela; uova di quaglia; e fettine di albicocca o pesca.
Sul vassoio: due cedri, una pesca, un fico, due datteri e castagne.
Sulla barra di legno sotto al vassoio: probabilmente una lamella, usata per tagliare o decorare la frutta. (Plinio il Vecchio riporta l’uso di lamelle per il taglio e la decorazione dei cibi morbidi).
Le decorazioni suggerite da Farrell Monaco per gli adorea. (Foto: Farrell Monaco)
Libum Adoreum: la ricetta di una ricostruzione moderna della focaccia di Pompeii
di Farrell Monaco
Necessario per 6 focacce
Ingredienti
Per la base della focaccia:
- 1kg di farina di farro (vedi le note)
- 20g di sale
- 500g di acqua
- 35g di lievito (vedi le note)
- 48g di olio di oliva
- 48g di miele
Per le guarnizioni consigliate:
- 24 fichi freschi
- ricotta, opzionale
- 6 albicocche o piccole mele
- 12 datteri
- 12 uova di quaglia
- 240g di miele
- Farina aggiuntiva per spolverare
Procedimento
Fase 1
Per preparare la base, mettetela farina e il sale in una ciotola capiente. In un’altra ciotola versate l’acqua, il lievito, l’olio di oliva e il miele. Non mescolate e non fate sì che il lievito si dissolva.
Fase 2
Create una cavità al centro della farina. Versate metà del liquido nella cavità e impastate la farina. Non appena l’impasto comincia a diventare disomogeneo, aggiungete il resto del liquido fino a che il composto non risulti ben legato. Se avete scelto di usare una varietà di farina integrale e l’impasto sembra non legarsi, aggiungete più acqua, un cucchiaio per volta finché non risulta omogeneo. Se avete optato per una farina bianca “raffinata”, tenete a mente che sarà meno del liquido preparato andrà a creare già da subito un impasto malleabile. Coprite il composto e lasciatelo riposare per due ore.
Fase 3
Rimuovete l’impasto dalla ciotola e lavoratelo a mano per 10 minuti, copritelo poi con un panno da cucina e fatelo nuovamente riposare finché non sarà raddoppiato di dimensioni. Ci possono volere dalle 2 alle 6 ore, dipende dal lievito usato, e dal calore e dall’umidità nella vostra cucina.
Fase 4
Una volta che l’impasto ha raddoppiato le sue dimensioni, create o tagliatelo in sei porzioni. Con ognuna delle porzioni formate dei panetti tondi e posizionateli su una superficie dal lavoro pulita o su di un panno da cucina spolverato di farina. Dopo che tutti i panetti sono stati modellati, copriteli con un panno da cucina umido e lasciateli lievitare per altre 2 ore.
Fase 5
Preriscaldate il vostro forno a 190 gradi. Ora è il momento di dare forma alle nostre focacce. Su una superficie spolverata di farina, prendete un panetto alla volta e schiacciatelo col palmo della vostra mano premendo gentilmente fino a che non raggiunge un altezza di circa 2cm.
Fase 6
Con l’aiuto di un bicchiere di acqua, intingete la punta di un dito, del pollice o del pugno per creare l’abbeveratoio: è una conca che dovrà correre lungo tutto il perimetro circolare dell’impasto. Il vostro dito dovrà scivolare senza tirare l’impasto. Assicuratevi di premere saldamente fino alla base, premete delicatamente la porzione centrale della base in modo che rimanga piatta e che vi sia la differenza di livello col bordo che avete così creato.
Fase 7
Infornate le vostre focacce per 20/25 minuti su una pietra refrattaria o su della carta forno fino a che non diventeranno dorate. Fate poi raffreddare.
La preparazione dell’impasto per gli adorea
Fase 8
Una volta che si sono raffreddati, è tempo di preparare le guarnizioni. A questo punto potete sentirvi liberi!
Per ogni focaccia: prendete tre fichi e schiacciateli per ottenere una crema o una sorta di purea. Rivestite il centro delle conchiglie di pane con la crema. Potete aggiungere un po’ di ricotta alla crema di fichi oppure metterne qualche cucchiaiata qua e là.
Fase 9
Tagliate alcune fette di frutta morbida, come albicocche, datteri o fichi, e decorate appoggiandole sulla crema. Per fare ciò suggerisco di usare un attrezzo simile ad una cannuccia, come una piccola asticella di legno invece di un coltello.
La preparazione delle guarnizioni consigliate
Fase 10
Mettete due uova di quaglia tra le fettine di frutta e guarnite aggiungendo una piccola mela o un albicocca.
Scaldate un po’ di miele e spruzzatelo sulla frutta assicurandovi che la conca della vostra focaccia sia piena a metà in modo che i cibi non strabordino. Servite e gustate!
Note
È sconosciuto a quale tasso di estrazione la farina venisse macinata per preparare l’Adoreum Pompeiano. Usate un prodotto raffinato oppure macinato e setacciato. Se non riuscite a trovare la farina di farro, potete usare farina di spelta o farina bianca raffinata intera o comune.
Se non avete un lievito, potete crearne uno mescolando parti uguali di farina e acqua con un cucchiaio di lievito di birra. Mescolate e lasciatelo attivare finché non comincia a crescere. Usate 35g di questo composto come vostro lievito per la ricetta.
Note su assaggio e abbinamenti
Potete accompagnare il piatto con alcuni degli altri elementi dell’affresco come vino rosso, castagne e cedro. Un’altra aggiunta che non è indicata come decorazione per nastos o adoreum, ma che appagherà sicuramente i palati moderni, potrebbero essere delle scaglie di formaggio stagionato.
Quando assaggerete questo dolce romano, ricordate che non sarà simile a una moderna galletta o ad un danese: è una semplice e rustica torta romana al miele decorata con frutta di stagione. Inoltre rappresenta un’opportunità per tutti noi di esplorare le pratiche culinarie dell’antica Roma e dell’eredità culturale di Pompei con le nostre mani e le nostre papille gustative. E, anche se a distanza, che magnifica esperienza è celebrare la recente scoperta di quest’ultimo dolce in questo modo! Non sarà una pizza, ma l’adoreum rappresenta davvero una gioia per gli occhi, e ci ricorda che il pane e i dolci che adoriamo oggigiorno hanno viaggiato fino alle nostre tavole attraverso i millenni e posti spesso oltreoceano. E, questa volta, da Pompei.
(Farrell Monaco è un archeologa classica, panettiere e scrittrice. Attualmente è una Honorary Visiting Fellow at the School of Archaeology and Ancient History dell’Università di Leicester. È la vincitrice del Best Special Interest Food Blog Award 2019 di Saveur Magazine e l’autrice del libro di prossima pubblicazione: Panis: The Story of Bread in Ancient Rome.)